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      In questi due lunghissimi giorni non ho potuto far altro che meditare tristi cose sull'arte che si usurpa la superba parola di medicatrice degli uomini, che osa chiamarsi una scienza. Dio mio, quanta superbia in questa parola! Con qual diritto può arrogarsi la medicina il supremo battesimo di scienza, quando i suoi sacerdoti si contraddicono l'un l'altro, quando noi per scegliere il nostro medico dobbiamo consultare i nostri presentimenti, le simpatie del nostro cuore? Qual vana scienza è questa mai che non cambia d'una cifra le statistiche dei morti di un paese, che guarisce lo stesso male coll'acqua fredda o coll'acqua calda, coll'acquavite o col latte, che ci manda a Madera o in Islanda colla stessa indifferenza e per una identica malattia?
      Per quanto mi sforzassi di raddolcire il mio giudizio, di calmare i miei sentimenti contro i due medici che avevo consultato, non riuscivo a trovare una sola parola di indulgenza per i medici e la medicina. Senza volerlo, avevo toccato con le mie due visite i poli dell'arte medica; avevo veduto, forse, le due più sfacciate caricature del fanatismo e del dubbio; io giudicavo di due medici per averne veduti due soli, ma è pur vero che con infinite gradazioni, tutti quanti dovevano oscillare tra quei poli: cieca fede di apostolo o scetticismo agghiacciato. Quando, a furia di pensar sempre alle stesse cose, la mia fantasia mobilissima si esaltava, mi pareva di veder da una parte la fucina di Vulcano, popolata di gnomi, di carnefici, di demoni che facevano stridere e rumoreggiare tutti gli strumenti di tortura; dall'altra vedevo un cimitero immenso, popolato di croci nere nere che campeggiavano in un mar di neve; vi era la nebbia e vi era il silenzio, e fra quei due poli estremi io vedeva tumultuare e muoversi una moltitudine accalcata di uomini togati colla cravatta bianca e grandi parrucche; avevano il ghigno beffardo e l'occhio collerico, e a guisa di una folla che si agita senza cambiar di posto, si dibatteva e oscillava fra quei due poli di fuoco e di ghiaccio.


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Un giorno a Madera
di Paolo Mantegazza
Casa Editrice Bietti Milano
1925 pagine 147

   





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