Questa cara scoperta doveva farla nell'ultima parte del mio viaggio medico, nella mia visita al dottor Haug.
Sono andata quast'oggi da lui e me ne sono ritornata a casa tutta rinfrancata e serena, come se avessi fatto una gita nel campo e ne avessi riportato un fascio di erbe e di fiori, di ramoscelli sempre verdi e di muschio vellutato. Oh, che caro amico è il dottor Haug...
Prima di arrivare al suo studio, io aveva già simpatia per lui, perché, ascendendo le scale e attraversando la sua anticamera, le sue sale, aveva già scoperto a primo colpo d'occhio che egli ama le cose belle, e sopratutto ama la natura, di cui aveva fatto prigioniera in casa sua quanta parte aveva potuto.
Sulla scala c'erano dei pini grandissimi imprigionati in grossi vasi di terra, e mi pareva impossibile che vi potessero vivere sani e robusti, e la terra in cui erano piantati non era nuda, ma coperta di erbe e di muschi come se ne trovano nella Scozia. Ogni pianta aveva il suo tappeto verde, aveva la sua famigliuola di pianticelle minori che pareva le tenessero compagnia. Nell'anticamera, nelle sale, dappertutto vi eran fiori e fra essi si sentiva bisbigliare alcuni uccelletti ch'io non vedeva. Quel che vedeva erano statue; copie delle più belle opere di scultura della Grecia antica e dell'Italia moderna. Le divine forme dell'uomo, della donna, del bambino, erano ritratte per ogni parte in marmo, in alabastro e sulla tela. Nello studio, sullo scrittoio, vi era una Venere dei Medici in alabastro, messa fra due pianticelle d'alloro e di mirto, e parevano tutte quelle belle cose sepolte in un mondo di libri d'ogni grandezza e d'ogni colore.
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