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      Quanto era poetica quella confusione sublime di cose! La Venere dei Medici, due alberetti sempre verdi e le opere dell'ingegno! La natura, l'arte, la scienza, si trovavano in quello spazio ristretto, vicinissime l'una all'altra, sembravano confondersi e quel medico doveva sentirsi profondamente commosso quando sedeva al lavoro in quel posto.
      Fermai la mia attenzione sul mirto e sull'alloro. Quelle pianticelle eleganti non erano trovate a caso: esse erano state scelte da un gusto squisito. Non son esse le piante sacre all'amore e alla gloria?
      Stava appunto fabbricandomi un idillio su quelle due belle prigioniere del dottor Haug... quando sentii i suoi passi che si andavano avvicinando nel corridoio. Sentii pure la voce e lo schiamazzo di un bambino, sentii il fruscio di una veste di seta, alcune parole che non capii ma che non potevano essere che d'uomo a donna, parole d'amore. Quanto amavo quel medico, prima ancora di averlo veduto...
      Un momento dopo io era seduta accanto a lui... non mi aveva parlato; mi aveva solo salutato col capo, e poi mi aveva sorriso e mi sorrideva ancora. Era un sorriso continuo, ma che variava di minuto in minuto, era un sorriso che era una domanda, un incoraggiamento, una speranza. Il dottor Haug... mi diceva un mondo di cose e senza parole...
      Come mi sentii subito espansiva!
      Eppure parlai poco, perché egli capiva subito tutto e col suo eterno sorriso, che era così eloquente, mi faceva interrompere il discorso e saltar cose noiose e lunghe; ed io, facendo la triste e ormai nauseosa storia dei miei dolori, mi sentiva talmente sorretta da quell'uomo che mi attraeva tutta quanta colla sua benevolenza e la sua attenzione, che parlando di tristissime cose, non sentiva né dolore né gioia.


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Un giorno a Madera
di Paolo Mantegazza
Casa Editrice Bietti Milano
1925 pagine 147

   





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