Il volto allungato, con barba nera, naso aquilino, faccia franca rozza, più rughe in volto, e sopratutto sulla fronte, che capelli bianchi in capo. Sul fondo d'una giovialità ingenua ed un cuore espansivo si leggevano le tracce d'un profondo dolore. Neppure per parlare quell'uomo poteva riposare le rughe che dalle sue sopracciglie si arrampicavano lungo un solco profondo scavato in mezzo alla fronte, là dove se ne spicca il naso. Né quel solco, né quelle rughe procellose, però, gli impedivano di essere cortese.
- Accomodatevi su questa sedia, signora, voi siete stanca, avete il respiro affannoso; non avete voi il petto gracile?
E pareva che, mano mano egli s'andava accorgendo ch'io era malata, il suo accento si raddolcisse e le sue sollecitudini per me andassero crescendo. Mi porse egli stesso una sedia vuota che stava accanto alla sua, senza posar per questo la bambina che le sue braccia robuste e vellose portavano come una pagliuzza.
Dove vedo un uomo che soffre, dove sospetto un dolore, io senza volerlo, senza saperlo mi arresto, affascinata da un'irresistibile attrazione.
Mi sedetti e dimenticai gli eliotropi, che, pur senza ch'io li vedessi, mi andavano imbalsamando l'aria all'intorno.
- Sì, mio buon signore, son malata di petto, son venuta a Madera per guarire, vi son da un anno e sto assai meglio.
Quell'uomo non aveva ascoltato di certo le mie ultime parole. Colla palma della mano sinistra, ampiamente aperta, si picchiò sulla fronte, sicché tutta la coperse, e più che parlare, gridò:
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Madera
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