Le proposi di far chiamare un medico; ma montò sulle furie a questa mia proposta, e divenne così rossa in volto da farmi credere che una febbre gagliarda l'avesse assalita colla rapidità del fulmine.
Irascibile, irrequieta, malcontenta di tutto, si sdraiava sul letto, e poi si metteva a sedere, e poi di nuovo accasciata si gettava col capo fra i cuscini. In un'ora sola faceva cento cose; in un'ora sola leggeva, scriveva, suonava il cembalo, tentava di dipingere, domandava i giornali, frugava la libreria, e tutto la scontentava.
Nelle ore più calde della giornata la prostrazione delle forze era tale che non esciva dalla camera. Io la vedeva soffrire e non poteva consolarla. Tentai ogni via per farlo, ma era un dolore profondo, insanabile, che le rodeva le viscere; ed io non insistetti ad importunarla colle mie domande e i miei consigli. Ella che ha sempre saputo leggere nel cuore di chi la circondava, senza bisogno delle parole, mi era grata del mio silenzio rispettoso.
Una mattina, e fu l'ultima della sua vita, mi alzai tardi perché mi sentiva malata, e avendo chiesto di Emma, mi fu risposto che si era alzata per tempissimo e che ravvolta nel suo scialle era uscita di casa, dicendo alla cameriera:
- Direte a mia zia che sono andata col primo treno a Bath, per fare una visita alla tomba di mio padre, ma che sarò di ritorno all'ora di pranzo.
Fui tutto il giorno inquieta, e i miei occhi cercavano impazienti l'orologio e più di una volta mi avvenne di metterlo all'orecchio, perché mi sembrava che dovesse essersi fermato, tanto il tempo mi sembrava lungo.
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Emma Bath
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