Questo dubbio comprende increduli e credenti, e non puņ associarsi nč alle superbe proposizioni dei primi, nč all'ingenua fede dei secondi; facendolo, si rinnegherebbe un elemento costitutivo della natura umana. Ora se in noi sentimento e ragione esistono entrambi, non offendiamo la natura col deprimere l'uno a vantaggio dell'altra?
Vi sono momenti in cui o un grave dolore o un affetto potente indeboliscono il nostro corpo; la ragione si accascia, e allora, eccetto pochissimi, in cui la forza non vien mai meno, troviamo conforto e riposo nel sentimento e nella fede; ma passata la causa, si ripristina l'equilibrio turbato, la ragione ripiglia i suoi diritti di discussione, si ribella alla fede nei misteri, e noi ritorniamo al dubbio, che chiamiamo fecondo, perchč eccitamento a sempre nuove ricerche e quindi a nuove scoperte.
Di questo dubbio non vediamo il termine nella vita: perchč nessun apostolo seppe mai dimostrare l'esistenza della divinitą in modo matematico da soddisfare tutte le intelligenze, tanto che i cristiani doverono ricorrere alla rivelazione, che č l'atto di abdicazione della ragione; nč alcun ragionamento di materialista potč spegnere in noi quel desiderio, quell'aspirazione all'infinito che č per sč stessa una prova psicologica dell'esistenza dell'infinito medesimo.
Non č nostro tema una discussione di teologia: non neghiamo alcuna cosa, come del pari nessuna affermiamo; ci limitiamo ad esporre la condizione in cui molti si trovano davanti al problema religioso, senza forse che tutti abbiano la sinceritą di confessarlo.
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