Era logico pertanto che Manzoni, scrivendo nel 1801, rispettasse il fondatore del cristianesimo, nel mentre si scagliava con vigore contro i mali dell'istituzione che, nel progresso de' tempi, erano provenuti.
Nel 1805 si recò a Parigi, e si trovò in mezzo a quella società di filosofi, avanzi della rivoluzione, in addietro rapidamente accennata; vi partecipavano atei e credenti, ma la libera discussione era tenuta nel massimo onore. Manzoni l'accettò coll'avidità che è propria dell'ingegno: e abbracciando a poco a poco le verità che andava scegliendo fra i sofismi e le esagerazioni, col processo inevitabile della logica, giunse a respingere ogni forma della religione rivelata, mostrando di comprendere che le forme di tutte le religioni, opera dell'uomo, invecchiano e passano con lui. Non crediamo fosse mai stato ateo come pretesero alcuni biografi; ma piuttosto che si sia conservato in quel dubbio fecondo ti cui parlavamo sul principio di questo libro. L'ateismo spegne ogni sentimento dell'infinito: il dubbio invece è la manifestazione più ragionevole della sua esistenza: nè senza idea d'infinito può esistere poeta.
IV. Muore l'Imbonati: ed ecco nel fiero dolore in cui egli e la madre erano immersi, destarsi il sentimento che piega alla fede, e scaturirne i versi famosi che consolano Giulia Beccaria colla speranza di una vita futura, dove il suo amico le serba i fiori che non temono nè sole nè bruma. Ma non vi è in tutto il carme un solo verso che accenni, non diremo al cattolicismo, ma neppure ad una religione qualunque; e siccome Manzoni si fa dettare dall'Imbonati i precetti dell'onesto vivere, così questi risponde con quei famosi versi che racchiudono i principj della più severa virtù indipendenti da ogni credenza religiosa.
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