Manzoni ripete negli Inni le profezie di redenzione e di felicità per gli umili e per i disprezzati, ai quali non può mancare il giorno della giustizia. Nel Natale egli vede scendere una vivida fonte a lenire le miserie del mondo: i tronchi stillano miele e germogliano fiori dove prima rampollavano i bronchi. Così aveva cantato anche Virgilio nell'egloga IV, quando ripeteva in sublimi versi le profezie delle Sibille, vaticinando la nascita di quel misterioso che doveva frenare i venti e rinnovare il mondo colla pace(5). Manzoni inneggia al natale del Cristo, perchè nato povero, è venuto per recar ajuto ai poveri, al duro mondo ignoti: canta la Passione nel 1815, l'anno della dolorosa passione dei popoli; canta nella Risurrezione il reciproco soccorso, fulminando i tripudii inverecondi; perchè mentre il ricco si abbandona alle intemperanze fra le superbe imbandigioni, il povero basisce di fame sotto l'umile tetto. Finalmente nella Pentecoste annunzia la nuova franchigia e le genti nuove che devono cancellare dal mondo le miserie della schiavitù e stabilire la vagheggiata fratellanza di tutte le genti.
Cogli Inni mostrò lo studio profondo della Bibbia fino ad assimilarsi tutte le sublimi bellezze dei profeti; nella Morale Cattolica palesò l'ampia dottrina che aveva raccolta dai Padri della Chiesa e dai teologi italiani e francesi aggiungendovi di suo un maraviglioso candore di discussione. È noto quest'opera non essere altro che la confutazione del capitolo CXXVII della Storia delle Repubbliche italiane del medio evo, in cui il Sismondi asseriva che la morale della Chiesa cattolica è una cagione di corruttela per l'Italia.
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