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      Tutti gli edifici si fabbricavano nella purezza degli ordini classici; si costruivano anfiteatri per i circences, secondo i bisogni degli antichi giuochi, quasi aspettando la coorte dei gladiatori; e alle porte delle cittą si innalzavano archi trionfali a simiglianza dei portici onorari di Roma.
      Se poi Orazio e Cicerone fossero entrati negli studi degli artisti, avrebbero scambiato quello di Canova in Roma per l'officina d'un greco scultore, tratto colą prigioniero e liberato dalla munificenza di qualche patrizio, perchč quivi attendevano l'ultima mano dell'artefice e Venere e Amore e lieti cori delle Ninfe e il forte Ettore e Palamede e la Tindaride «cantata facella a tanto incendio d'Asia e di Grecia;» e se fossero penetrati nello studio del pittor Bossi di Milano, avrebbero con stupore raffigurata Minerva ed Ercole, seduti davanti al castello sforzesco, e in quello d'Appiani sarebbe loro apparso il convito di Giove e tutto quel luminoso Olimpo pieno di lussuriosi Iddii, nei quali, fin lo stesso Cicerone, a' suoi tempi, aveva perduta ogni fede. E in questa miscredenza il filosofo d'Arpino si sarebbe trovato d'accordo cogli uomini del secolo decimonono.
      Erano dunque una sola e grande ipocrisia, nell'anno milleottocento, costumi e idee? L'ipocrisia non era nč maggiore, nč minore d'oggidģ; si trattava solo di diversitą di vocaboli. Se noi non usiamo pił il vocabolario classico per ingrandire le nostre piccolezze, non per questo abbiamo cancellato dai giudizii l'iperbole, nč dai nomi propri gli epiteti reboanti che talora vi restano appiccicati come ironia.


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Del trionfo della libertą
di Alessandro Manzoni
Editore Sonzogno Milano
1882 pagine 91

   





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