Sveller fioretti per ornarmi il senoE le trecce stillanti. Nč gelosa
Tolgo agli occhi profani il mio soggiorno,
Ma dai tersi cristalli altrui riveloLa monda arena. Anzi sovente, scesi
Dai monti Orobi i Satiri securi,
Tempran nel fresco mio la siria fiamma,
Col pič caprino intorbidando l'onda.
Ben al par d'Aretusa e d'Acheloo
Vanta natal divino e sede arcana,
Sacra ai congressi delle Aonie suore;
Pur soave ed umil vassi Ippocrene
Su la libetride erba mormorando.
Ben so che d'altro vanto aver coronaPretendo il re dei fiumi, e presso al Mincio,
Del primo onor geloso, ancor s'ascoltaSonar l'onda sdegnosa armi ed amori;(9)
E so ch'egli n'andō poi de la molleGuarinia corda(10), or della tua superbo;
Ma non vedi con l'irta alga natiaSplendermi il lauro in su la fronte? Salve,
Vocal colle Eupilino: a te mai sempreRida Bacco vermiglio e Cerer bionda;
Salve, onor di mia riva: a te soventeScendean Febo e le Muse eliconiadi,
Scordato il rezzo de l'Ascrea fontana.
Quivi sovente il buon cantor vid' ioVenir trattando con la man secura
Il plettro di Venosa e il suo flagello,
O traendo l'inerte fianco a stento,
Invocar la salute e la ritrosaErato bella, che di lui temea(11)
L'irato ciglio e il satiresco ghigno;
Ma alfin seguialo e su le tempie anticheFea di sua mano rinverdire il mirto.
Qui spesso udillo rammentar piangendo,
Come si fa di cosa amata e tolta,
Il dolce tempo de la prima etade,
O de' potenti maledir l' orgoglio,
Come il genio natio movealo al cantoE l'indomata gioventų de l'alma.
Or tace il plettro arguto e ne' miei boschi
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