Manzoni invece che non fu mosso a trattare l'emancipazione letteraria dalla vaghezza di giungere per nuove vie alla fama, ma dalla logica, per essere conseguente a sè stesso e dare il linguaggio del vero alla verità, non lasciò a mezzo l'impresa e vinse nel nome di quest'idea. La sola forma non poteva dare la fede e la costanza al Monti, come l'idea la diede al Manzoni per iscuotere la cieca autorità del passato. E quando sorse la nuova scuola, capitanata dal Manzoni, bella di tutto l'impeto vero e profondo dell'affetto espresso in istile semplice e popolare, Monti non comprese neppure la parte di gloria che a lui poteva toccare di quella rivoluzione e di quel trionfo; vide solo che l'arte era diventata mezzo e non fine, come aveva sempre creduto, e ch'egli non avrebbe potuto adottare la nuova veste, perchè gli mancava il corpo da mettervi dentro. Fu allora che scrisse quella difesa del classicismo, che fu il vero canto del cigno della morente scuola.
Ma la decisione di Manzoni non fu sì pronta come potrebbesi credere: il giovine intravedeva la verità senza poterla afferrare; lo impedivano l'età giovanile e la modestia. Ma nella satira al Pagani ci appare come il Colombo giovinetto, scolpito dal Monteverde, che fissando i flutti che dovrà solcare un giorno, intravede al di là del noto orizzonte il nuovo continente agli altri uomini ascoso, e se lo prefigge come meta di tutta la vita.
Sebbene avesse già in embrione additato idea e forma ad un tempo della rivoluzione democratica nelle lettere, pure nel sermone che compose in quello stesso anno 1804 per un poetastro che aveva scritto versi per nozze, si tenne ancora fedele alla mitologia, e si contentò di combattere la scuola metastasiana colle sue sdolcinature, cogli eroi inzuccherati e coi tiranni di pastafrolla.
| |
Monti Manzoni Manzoni Monti Manzoni Pagani Colombo Monteverde
|