Egli non sta contento al bene negativo che è la maschera dell'egoismo; egli comprende la virtù nel suo significato più sublime, in quello di sacrificio. Ma questo deve essere compiuto naturalmente, perché così vuole il nostro dovere; e miseranda è l'età in cui si stima un portento chi esercita la virtù, perchè allora ben pochi saranno i virtuosi.
Ad un tratto vediamo il Manzoni tornare indietro d'un passo, e in armoniosi versi cantare gli antichi benefici che le Muse prodigarono ai loro fedeli. L'Urania è classica per eccellenza: è un'antica favola greca rinnovellata dall'ingegno del giovane, il quale aspira ad essere aggiunto al drappello sacro dei vati d'Italia; eppure appare ben evidente quanto il suo classicismo sia diverso da quello che gli altri usavano. In tutto il poemetto è una castigatezza, una purità che consola, che ancor oggi, anzi oggi sopratutto, rinfresca la mente dalla scurrile letteratura di moda conturbata. Al giovanetto Pindaro, che aveva sdegnato il cammino sacro d'Orcomene, dove hanno culto le Grazie, non si presenta già una dea a sedurlo coll'incanto della sua bellezza spirante molle ambrosia, ma bensì la musa Urania, sotto la forma di Mirtide, maestra al poeta dei carmi e della lira; e questa è da lui chiamata col venerando nome di madre. Il concetto plastico, che pure è il concetto del classicismo, sparisce: regna l'idealità più virtuosa; e sembra quasi che Manzoni si faccia profetare dalla Camena diva la gloria futura, allorquando col sacrificio alle Grazie, nella forma tragica e nella romantica, egli avrebbe raggiunta quella sublime altezza, cui nessun altro seppe, dopo lui, arrivare.
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