Sorgea fra gli altri il generoso veglio,(50)
Che involò del tiranno ai sozzi orgogliLa figlia intatta, e ben fu morte il meglio.
La figlia che diceva al padre: "CôgliQuesto immaturo fior: tu mi donasti
Queste misere membra, e tu le togli,(51)
Pria che impudico ardir le incesti e guasti."
E in quello cadde il colpo, o impallidiroLe guancie e i membri intemerati e casti,
E uscì dal puro sen l'ultimo spiro,
Ed a la vista orribile fremeaIl superbo e deluso Decemviro,
Cui stimolava la digiuna e reaLibidine, e struggea l'insana rabbia,
Che i già protesi invan nervi rodea;
Qual lupo, che la preda perdut'abbia,
Batte per fame l'avida mascella,
Rugge, e s'addenta lo digiune labbia.
Quindi segue una coppia rara e bella,(52)
Che ria di bene oprar mercede colseAhi! da la patria troppo ingrata e fella.
V'è quel grande che Roma ai ceppi tolse,(53)
Indi de l'Afro le superbe mineE le audaci speranze in lui rivolse:
Per cui sovra le libiche ruineVide Roma discesa al gran tragitto
Al fulgor de le fiaccole latine.
E quei che Magno detto era ed invitto,(54)
Che, insiem con Libertà, spoglia schernitaGiacque su l'infedel sabbia d'Egitto.
V'era la non mai doma alma,(55) che arditaTemè la servitù più de la morte,
Amò la libertà più de la vita;
Dicendo: "Poi che la nimica sorteTanto è contraria a libertade, e invano
La terribile armò destra quel forte,(56)
Alzisi omai la generosa manoE l'alma fugga pria che servir l'empio,
Ch'io nacqui e vissi e vo' morir Romano."
E seco è lei,(57) che con novello scempioDietro la fuggitiva libertade
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