Che col suo Nume e con sè stessa pugna;
Di Dio non già, ma di sue voglie schiava.
Altri nemico di sè stesso impugnaCrudo flagello, e 'l sangue fonde, e 'l fura
A la patria e de' suoi dritti a la pugna,
Devoto suicida, ed a la duraVerginità consacrasi, i desiri
Soffocando, e le voci di natura.(69)
Stolto crudel che fai? de' tuoi martìriForse l'amante comun Padre frue
O si pasce di sangue e di sospiri?
Oh! stolto! Ei nel tuo core, Ei con le sueDita divine la diversa brama
Pose: Colui, che disse: "sia" e fue.
Ei con la voce di natura chiamaTutti ad amarsi, e gli uomini accompagna
E va d'ognuno al cor ripetendo: ama.
E tu fuggi colei che per compagnaEi ti diede, e i fratei credi nemici,
E invan natura, invan grida e si lagna.
E tal sotto i flagelli ed i ciliciCela i pugnali, e vassi a capo chino
Meditando veleni e malefici.
O degenere figlia di Quirino,
Che i tuoi prodi obliando, al Galileo
Cedesti i fasci del valor latino,
Questi sono i tuoi Cati, e in sul Tarpéo
Dei nostri figli si fan scherno e gioco... "
Ma qui si tacque e dir più non poteo,
Che tal la carità del natìo locoLo strinse, e sì l'oppresse, che morìo
La voce in un sospir languido e fioco.
Quindi tra le commosse ombre s'udìoSorgere un roco ed indistinto gemito,
Poscia un cupo e profondo mormorìo;
Sì come allor che, con interno tremito,
Quassano i venti il suol che ne rimbombaS'ode sonar da lungo un sordo fremito
Che tra le foglie via mormora e romba.
FINE DEL CANTO SECONDO.
CANTO TERZO
I tronchi detti, e il lagrimoso voltoDi quella generosa anima bella
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Nume Dio Padre Colui Quirino Galileo Cati Tarpéo
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