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      Chi solo amò di Libertade il nome,
      O appena il proferì, dai sacri lariStrappato e strascinato è per le chiome.
     
      Ai casti letti venian quei sicari,
      Qual di lupi digiuni atro drappello,
      D'oro e di sangue e di null'altro avari.
     
      E invan le spose al vïolato ostello,
      Di lagrime bagnando il sen discinto,
      Fean con la debil man vano puntello;
     
      Che fin fu il ferro, ahimè! cacciato e spintoEntro il seno pregnante: oh scelleranza!
      E il ferro, il ferro da l'orror fu vinto.
     
      Gli empi no, che con fiera dilettanzaPascean gli sguardi disiosi e cupi,
      E fean periglio di crudel costanza.
     
      E i pargoletti a que' feroci lupiCon un sorriso protendean le mani,
      Con un sorriso da spetrar le rupi.
     
      Ed essi, oh snaturati! oh in volti umaniTigri! col ferro rimovean l'amplesso,
      E fean le membra tenerelle a brani.
     
      Non ora il grido ed il sospir concesso;
      Era delitto il lagrimar, delittoUn detto, un guardo ed il silenzio istesso.
     
      Morte, gridava irrevocando editto:
      La coronata e la mitrata stizzaL'avean col sangue d'innocenti scritto.
     
      Intanto a mille eroi l'anima schizza(88)
      Dal gorgozzule oppresso, e brancolandoIl tronco informe su l'arena guizza.
     
      Anelando, fremendo, mugolando,
      Gli spirti uscien da straziati tronchi,
      Non il lor danno, ma il comun plorando.
     
      Ivi sorgean duo smisurati tronchi,(89)
      Cui l'adunato sangue era lavacro,
      E d'intorno eran membri e capi cionchi.
     
      Quinci era il tronco infame a morte sacro,
      Irto e spumoso di sanguigna gruma;
      Quindi stava di Cristo il simulacro,
     
      E il percotea la fluttuante schiuma,
      Che fea del sangue e de la tabe il lago,


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Del trionfo della libertà
di Alessandro Manzoni
Editore Sonzogno Milano
1882 pagine 91

   





Libertade Cristo