«Appena entrati nella camera, scrisse Aldini a Pancaldi il 15 luglio, Bonaparte prese la parola dicendo: Laggiù le cose vanno molto male, non si commettono che bestialità; si ruba a precipizio e non feste che sciocchezze. - E insistendo sul pessimo andamento della cosa pubblica per essersi sostituito agli onesti la canaglia, esclamò: Questa genia nata in bassa condizione, si è fitta in testa di straricchire nei posti che occupò; ma andrò laggiù e punirò severamente i ladri.»
Naturalmente non fece nulla, sebbene i milanesi, per renderselo favorevole, nell'occasione che era uscito incolume dalla congiura della macchina infernale, gli avessero fatto coniare una medaglia coll'iscrizione: Dux tutus ab insidiis.
(108) Il Cusani scrisse (Storia di Milano, vol. VI) che di nottetempo certi bricconi, raccoltisi sotto il nome di montenegrini, percorrevano le vie di Milano percotendo i passeggieri che non volevano gridare: Viva l'imperatore Francesco. La polizia ne arrestò una cinquantina e tolse di mezzo quella vergogna. Fra questi bravacci malcontenti vi erano perfino alcune guardie nazionali. Il mal governo faceva odiare la repubblica, e il Melzi, mandato presso il primo Console a Parigi per far palese la misera condizione dello Stato, scriveva a Talleyrand: «La Repubblica cisalpina, quantunque proclamata indipendente e sovrana, fu fatta ludibrio all'Europa, e con inaudito oltraggio data in balia alla rapacità di tali che a loro talento ne fecero strazio. Chi può dire fino a qual segno la ricordanza di tali oltraggi sia scolpita nel cuore delle moltitudini?
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