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      È che non cercavano una verità, ma volevano una confessione: non sapendo quanto vantaggio avrebbero avuto nell'esame del fatto supposto, volevano venir presto al dolore, che dava loro un vantaggio pronto e sicuro: avevan furia. Tutto Milano sapeva (è il vocabolo usato in casi simili) che Guglielmo Piazza aveva unti i muri, gli usci, gli anditi di via della Vetra; e loro che l'avevan nelle mani, non l'avrebbero fatto confessar subito a lui!
     
      Si dirà forse che, in faccia alla giurisprudenza, se non alla coscienza, tutto era giustificato dalla massima detestabile, ma allora ricevuta, che ne' delitti più atroci fosse lecito oltrepassare il diritto? Lasciamo da parte che l'opinion più comune, anzi quasi universale, de' giureconsulti, era (e se al ciel piace, doveva essere) che una tal massima non potesse applicarsi alla procedura, ma soltanto alla pena; "giacché," per citarne uno, "benché si tratti d'un delitto enorme, non consta però che l'uomo l'abbia commesso; e fin che non consti, è dovere che si serbino le solennità del diritto(37) ". E solo per farne memoria, e come un di que' tratti notabili con cui l'eterna ragione si manifesta in tutti i tempi, citeremo anche la sentenza d'un uomo che scrisse sul principio del secolo decimoquinto, e fu, per lungo tempo dopo, chiamato il Bartolo del diritto ecclesiastico, Nicolò Tedeschi, arcivescovo di Palermo, più celebre, fin che fu celebre, sotto il nome d'Abate Palermitano: "Quanto il delitto è più grave," dice quest'uomo, "tanto più le presunzioni devono esser forti; perché, dove il pericolo è maggiore, bisogna anche andar più cauti(38) ". Ma questo, dico, non fa al nostro caso (sempre riguardo alla sola giurisprudenza), poiché il Claro attesta che nel foro di Milano prevaleva la consuetudine contraria; cioè era, in que' casi, permesso al giudice d'oltrepassare il diritto, anche nell'inquisizione(39) . "Regola", dice il Riminaldi, altro già celebre giureconsulto, "da non riceversi negli altri paesi"; e il Farinacci soggiunge: "ha ragione(40) ". Ma vediamo come il Claro medesimo interpreti una tal regola: "si viene alla tortura, quantunque gl'indizi non siano in tutto sufficienti (in totum sufficientia), né provati da testimoni maggiori d'ogni eccezione, e spesse volte anche senza aver data al reo copia del processo informativo". E dove tratta in particolare degl'indizi legittimi alla tortura, li dichiara espressamente necessari "non solo ne' delitti minori, ma anche ne' maggiori e negli atrocissimi, anzi nel delitto stesso di lesa maestà(41) ". Si contentava dunque d'indizi meno rigorosamente provati, ma li voleva provati in qualche maniera; di testimoni meno autorevoli, ma voleva testimoni; d'indizi più leggieri, ma voleva indizi reali, relativi al fatto; voleva insomma render più facile al giudice la scoperta del delitto, non dargli la facoltà di tormentare, sotto qualunque pretesto, chiunque gli venisse nelle mani.


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Storia della colonna infame
di Alessandro Manzoni
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