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      Cedette, abbracciò quella speranza, per quanto fosse orribile e incerta; assunse l'impresa, per quanto fosse mostruosa e difficile; deliberò di mettere una vittima in suo luogo. Ma come trovarla? a che filo attaccarsi? come scegliere tra nessuno? Lui, era stato un fatto reale, che aveva servito d'occasione e di pretesto per accusarlo. Era entrato in via della Vetra, era andato rasente al muro, l'aveva toccato; una sciagurata aveva traveduto, ma qualche cosa. Un fatto altrettanto innocente, e altrettanto indifferente fu, si vede, quello che gli suggerì la persona e la favola.
     
      Il barbiere Giangiacomo Mora componeva e spacciava un unguento contro la peste; uno de' mille specifici che avevano e dovevano aver credito, mentre faceva tanta strage un male di cui non si conosce il rimedio, e in un secolo in cui la medicina aveva ancor così poco imparato a non affermare, e insegnato a non credere. Pochi giorni prima d'essere arrestato, il Piazza aveva chiesto di quell'unguento al barbiere; questo aveva promesso di preparargliene; e avendolo poi incontrato sul Carrobio, la mattina stessa del giorno che seguì l'arresto, gli aveva detto che il vasetto era pronto, e venisse a prenderlo. Volevan dal Piazza una storia d'unguento, di concerti, di via della Vetra: quelle circostanze così recenti gli serviron di materia per comporne una: se si può chiamar comporre l'attaccare a molte circostanze reali un'invenzione incompatibile con esse.
     
      Il giorno seguente, 26 di giugno, il Piazza è condotto davanti agli esaminatori, e l'auditore gl'intima: che dica conforme a quello che estraiudicialmente confessò a me, alla presenza anco del Notaro Balbiano, se sa chi è il fabricatore degli unguenti, con quali tante volte si sono trouate ontate le porte et mura delle case et cadenazzi di questa città.


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Storia della colonna infame
di Alessandro Manzoni
pagine 132

   





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