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      In quell'altra lettera rammentata poco sopra, con la quale il tribunale della Sanità aveva informato il governatore di quel grande imbrattamento del 18 di maggio, si parlava pure d'un esperimento fatto sopra de' cani, "per accertarsi se tali ontuosità erano pestilentiali o no". Ma allora non avevan nelle mani nessun uomo sul quale potessero fare l'esperimento della tortura, e contro il quale le turbe gridassero: tolle!
     
      Prima però di mettere alle strette il Mora, vollero aver dal commissario più chiare e precise notizie; e il lettore dirà che ce n'era bisogno. Lo fecero dunque venire, e gli domandarono se ciò che aveva deposto era vero, e se non si rammentava d'altro. Confermò il primo detto, ma non trovò nulla da aggiungerci.
     
      Allora gli dissero che ha molto dell'inuerisimile che tra lui et detto barbiero non sia passata altra negotiatione di quella che ha deposto, trattandosi di negotio tanto grave, il quale non si commette a persone per eseguirlo, se non con grande et confidente negotiatione, et non alla fugita, come lui depone.
     
      L'osservazione era giusta, ma veniva tardi. Perché non farla alla prima, quando il Piazza depose la cosa in que' termini? Perché una cosa tale chiamarla verità? Che avessero il senso del verisimile così ottuso, così lento, da volerci un giorno intero per accorgersi che lì non c'era? Essi? Tutt'altro. L'avevan delicatissimo, anzi troppo delicato. Non eran que' medesimi che avevan trovato, e immediatamente, cose inverisimili che il Piazza non avesse sentito parlare dell'imbrattamento di via della Vetra, e non sapesse il nome de' deputati d'una parrocchia?


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Storia della colonna infame
di Alessandro Manzoni
pagine 132

   





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