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      Ma siccome in tutto dovevan metter qualcosa d'insidioso, d'avvantaggioso, di suggestivo, così, in vece di domandargli se intendeva di ratificar la sua confessione, gli domandarono se ha cosa alcuna d'aggiongere all'esame et confessione sua, che fece hieri, doppo che fu ommesso di tormentare. Escludevano il dubbio: la giurisprudenza voleva che la confessione della tortura fosse rimessa in questione; essi la davan per ferma, e chiedevan soltanto che fosse accresciuta.
     
      Ma in quell'ore (direm noi di riposo?) il sentimento dell'innocenza, l'orror del supplizio, il pensiero della moglie, de' figli, avevan forse data al povero Mora la speranza d'esser più forte contro nuovi tormenti; e rispose: Signor no, che non ho cosa d'aggiongerui, et ho più presto cosa da sminuire. Dovettero pure domandargli, che cosa ha da sminuire. Rispose più apertamente, e come prendendo coraggio: quell'unguento che ho detto, non ne ho fatto minga (mica), et quello che ho detto, l'ho detto per i tormenti. Gli minacciaron subito la rinnovazion della tortura; e ciò (lasciando da parte tutte l'altre violente irregolarità) senza aver messe in chiaro le contradizioni tra lui e il commissario, cioè senza poter dire essi medesimi se quella nuova tortura gliel'avrebbero data sulla sua confessione, o sulla deposizion dell'altro; se come a complice, o come a reo principale; se per un delitto commesso ad istigazione altrui, o del quale era stato l'istigatore; se per un delitto che lui aveva voluto pagar generosamente, o dal quale aveva sperato un miserabile guadagno.


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Storia della colonna infame
di Alessandro Manzoni
pagine 132

   





Mora