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      Rispose: che sappia mi, quanto a me, non ho altro fine.
     
      Che sappia mi! Chi, se non lui, poteva sapere cosa fosse passato nel suo interno? Eppure quelle così strane parole erano adattate alla circostanza: lo sventurato non avrebbe potuto trovarne altre che significassero meglio a che segno aveva, in quel momento, abdicato, per dir così, sé medesimo, e acconsentiva a affermare, a negare, a sapere quello soltanto, e tutto quello che fosse piaciuto a coloro che disponevan della tortura.
     
      Vanno avanti, e gli dicono: che ha molto dell'inuerisimile che, solamente per hauer occasione il Commissario di lavorare assai, et lui Constituto di vendere il suo elettuario habbino procurato, con l'imbrattamento delle porte, la destruttione et morte della gente; perciò dica a che fine, et per che rispetto si sono mossi loro duoi a così fare, per un interesse così legiero.
     
      Ora vien fuori quest'inverisimiglianza? Gli avevan dunque minacciata e data a più riprese la tortura per fargli ratificare una confessione inverisimile! L'osservazione era giusta, ma veniva tardi, diremo anche qui; giacché il rinnovarsi delle circostanze medesime, ci sforza quasi a usar le medesime parole. Come non s'erano accorti che ci fosse inverisimiglianza nella deposizione del Piazza, se non quando ebbero, su quella deposizione, carcerato il Mora; così ora non s'accorgono che ci sia inverisimiglianza nella confession di questo, se non dopo avergli estorta una ratificazione che, in mano loro, diventa un mezzo sufficiente per condannarlo.


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Storia della colonna infame
di Alessandro Manzoni
pagine 132

   





Commissario Constituto Piazza Mora