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      Tornato, disse: sono stato dal Mora, il quale mi ha detto liberamente che non ha fallato, et che quello che ha detto, l'ha detto per i tormenti; et perché gli ho detto liberamente che non voleuo né poteuo sostener questo carico di diffenderlo, mi ha detto che almeno il Sig. Presidente sij servito (si degni) di prouederli d'un diffensore, et che non voglia permettere che habbi da morire indiffeso. Di tali favori, e con tali parole, l'innocenza supplicava l'ingiustizia! Gliene nominarono infatti un altro.
     
      Quello assegnato al Piazza, "comparve e chiese a voce che gli fosse fatto vedere il processo del suo cliente; e avutolo, lo lesse". Era questo il comodo che davano alle difese? Non sempre, poiché l'avvocato del Padilla, che divenne, come or ora vedremo, il concreto della persona grande buttata là in astratto e in aria, ebbe a sua disposizione il processo medesimo, tanto da farne copiar quella buona parte che è venuta per quel mezzo a nostra notizia.
     
      Sullo spirar del termine, i due sventurati chiesero una proroga: "il senato concesse loro tutto il giorno seguente, e non più: et non ultra". Le difese del Padilla furon presentate in tre volte: una parte il 24 di luglio 1631; la quale "fu ammessa senza pregiudizio della facoltà di presentar più tardi il rimanente"; l'altra il 13 d'aprile 1632; e l'ultima il 10 di maggio dell'anno medesimo: era allora arrestato da circa due anni. Lentezza dolorosa davvero, per un innocente; ma, paragonata alla precipitazione usata col Piazza e col Mora, per i quali non fu lungo che il supplizio, una tal lentezza è una parzialità mostruosa.


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Storia della colonna infame
di Alessandro Manzoni
pagine 132

   





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