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      Nell'altra aveva detto che il barbiere non gli aveva voluto nominar la persona grande. Ora veniva a sostenere il contrario; e per diminuire, in qualche maniera, la contradizione, disse che non gliel'aveva nominata subito. Finalmente mi disse doppo il spatio di quattro o cinque giorni, che questo capo grosso era un tale di Padiglia, il cui nome non mi raccordo, benché me lo disse; so bene, et mi raccordo precisamente che disse esser figliolo del Sig. Castellano nel Castello di Milano. Danari, però, non solo non disse d'averne ricevuti dal barbiere, ma protestò di non saper nemmeno se questo n'avesse avuti dal Padilla.
     
      Fu fatta sottoscrivere al Piazza questa deposizione, e spedito subito l'auditore della Sanità a comunicarla al governatore, come riferisce il processo; e sicuramente a domandargli se consentirebbe, occorrendo, a consegnare all'autorità civile il Padilla, ch'era capitano di cavalleria, e si trovava allora all'esercito, nel Monferrato. Tornato l'auditore, e fatta subito confermar di nuovo la deposizione al Piazza, s'andò di nuovo addosso all'infelice Mora. Il quale, all'istanze per fargli dire che lui aveva promesso danari al commissario, e confidatogli che aveva una persona grande, e dettogli finalmente chi fosse, rispose: non si trouarà mai in eterno: se io lo sapessi, lo direi, in conscienza mia. Si viene a un nuovo confronto, e si domanda al Piazza, se è vero che il Mora gli ha promesso danari, dichiarando che tutto ciò faceua d'ordine et commissione del Padiglia, figliolo del signor Castellano di Milano.


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Storia della colonna infame
di Alessandro Manzoni
pagine 132

   





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