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      Il difensor del Padilla osserva, con gran ragione, che, "sotto pretesto di confronto", fecero così conoscere al Mora "quello che si desiderava dicesse". Infatti, senza questo, o altro simil mezzo, non sarebbero certamente riusciti a fargli buttar fuori quel personaggio. La tortura poteva bensì renderlo bugiardo, ma non indovino.
     
      Il Piazza sostenne quel che aveva deposto. E voi volete dir questo? esclamò il Mora. Sì, che lo voglio dire, che è la verità, replicò lo sventurato impudente: et sono a questo mal termine per voi, et sapete bene che mi diceste questo sopra l'uschio della vostra bottega. Il Mora, che aveva forse sperato di poter, con l'aiuto del difensore, mettere in chiaro la sua innocenza, e ora prevedeva che nuove torture gli avrebbero estorta una nuova confessione, non ebbe nemmeno la forza d'opporre un'altra volta la verità alla bugia. Disse soltanto: patientia! per amor di voi, morirò.
     
      Infatti, rimandato subito il Piazza, intimano a lui, che dica hormai la verità; e appena ha risposto: Signore, la verità l'ho detta; gli minacciano la tortura: il che si farà sempre senza pregiuditio di quello che è convitto, et confesso, et non altrimenti. Era una formola solita; ma l'averla adoprata in questo caso fa vedere fino a che segno la smania di condannare gli avesse privati della facoltà di riflettere. Come mai la confessione d'avere indotto il Piazza al delitto con la promessa de' danari che si avrebbero dal Padilla, poteva non far pregiudizio alla confessione d'essersi lasciato indurre al delitto dal Piazza, per la speranza di guadagnar col preservativo?


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Storia della colonna infame
di Alessandro Manzoni
pagine 132

   





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