.." (eccolo nominato una volta quel civium ardor prava jubentium; la sola volta che si poteva senza confessare una vergognosa e atroce deferenza, giacché si trattava dell'esecuzion d'un giudizio, non del giudizio medesimo. Ma cominciava allora soltanto a esclamare il popolo? o allora soltanto cominciavano i giudici a far conto delle sue grida?) "...ma che in ogni caso il signor Don Francesco non si pigliasse fastidio, perché gente infame, com'erano questi duoi, non potevano col suo detto pregiudicare alla reputatione del signor Don Giovanni". E il detto d'ognuno di que' due infami valse contro l'altro! E i giudici l'avevan tante volte chiamato verità! E nella sentenza medesima decretarono che, dopo l'intimazion di essa, fossero l'uno e l'altro tormentati di nuovo su ciò che riguardava i complici! E le loro deposizioni promossero torture, e quindi confessioni, e quindi supplizi; e se non basta, anche supplizi senza confessioni!
Et così
, conclude la deposizione del segretario suddetto, "tornassimo dal signor Castellano, et li facessimo la relatione di quant'era passato; et lui non disse altro, ma restò mortificato; la qual mortificatione fu tale, che fra pochi giorni se ne morse."
Quell'infernale sentenza portava che, messi sur un carro, fossero condotti al luogo del supplizio; tanagliati con ferro rovente, per la strada; tagliata loro la mano destra, davanti alla bottega del Mora; spezzate l'ossa con la rota, e in quella intrecciati vivi, e alzati da terra; dopo sei ore, scannati; bruciati i cadaveri, e le ceneri buttate nel fiume; demolita la casa del Mora; sullo spazio di quella, eretta una colonna che si chiamasse infame; proibito in perpetuo di rifabbricare in quel luogo.
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Don Francesco Don Giovanni Castellano Mora Mora
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