Parlando della caldaia trovata in casa del Mora, dice: "fece principalmente grand'impressione una cosa forse innocente e accidentale, del resto schifosa, e che poteva parer qualcosa di quello che si cercava". Parlando del primo confronto, dice che il Mora "invocava la giustizia di Dio contro una frode, contro una maligna invenzione, contro un'insidia nella quale si poteva far cadere qualunque innocente". Lo chiama "sventurato padre di famiglia, che, senza saperlo, portava su quell'infausto capo l'infamia e la rovina sua e de' suoi". Tutte le riflessioni che abbiamo esposte poco fa, e quelle di più che si posson fare, sulla contradizion manifesta tra l'assoluzion del Padilla, e la condanna degli altri, il Ripamonti le accenna con un vocabolo: "gli untori furon puniti ciò non ostante: unctores puniti tamen". Quanto non dice quell'avverbio, o congiunzione che sia! E aggiunge: "la città sarebbe rimasta inorridita di quella mostruosità di supplizi, se tutto non fosse parso meno del delitto".
Ma il luogo dove fa intender più chiaramente il suo sentimento, è dove protesta di non volerlo dire. Dopo aver raccontato vari casi di persone cadute in sospetto d'untori, senza che ne seguissero processi, "mi trovo", dice, "a un passo difficile e pericoloso, a dover dichiarare se, oltre quelli così a torto presi per untori, io creda che ci siano stati untori davvero... Né la difficoltà nasce dall'incertezza della cosa, ma dal non essermi lasciata la libertà di far quello che pur si pretende da ogni scrittore, cioè ch'esprima i suoi veri sentimenti.
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