Chi l'anderebbe a pensare soprattutto dopo aver lette le parole con le quali il Giannone entra in quel racconto? e son queste: "Gli avvenimenti infelici di queste rivoluzioni sono stati descritti da più autori: alcuni gli vollero far credere portentosi, e fuor del corso della natura: altri con troppo sottili minuzie distraendo i leggitori, non ne fecero nettamente concepire le vere cagioni, i disegni, il proseguimento, ed il fine: noi per ciò, seguendo gli scrittori più serj e prudenti, gli ridurremo alla lor giusta e natural positura." Eppure ognuno può vedere, facendo il confronto, come, subito dopo queste sue parole, il Giannone metta mano a quelle del Nani(83) , frammischiandoci ogni tanto, e specialmente sul principio, qualcheduna delle sue, facendo qua e là qualche cambiamento, alle volte per necessità, e nella stessa maniera che uno, il qual compri biancheria usata, leva il segno dell'antico padrone, e ci mette il suo. Così, dove il veneziano dice: "in quel regno", il napoletano sostituisce: "in questo regno"; dove il contemporaneo dice che vi "restano le fazioni quasi che intiere", il postero, che vi "restavano ancora le reliquie dell'antiche fazioni". È vero che, oltre queste piccole aggiunte o variazioni, si trovano anche in quel lunghissimo squarcio, come pezzi messi a rimendo, alcuni brani più estesi, che non son del Nani. Ma, cosa veramente da non credersi, son presi da un altro quasi tutti, e quasi parola per parola: è roba di Domenico Parrino(84) , scrittore (alla rovescia di molt'altri) oscuro, ma letto molto, e fors'anche più di quello che sperava lui medesimo, se, in Italia e fuori, è letta quanto lodata la "Storia civile del regno di Napoli", che porta il nome di Pietro Giannone.
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