Quando, tra vili case e in mezzo a pocheRovine, i' vidi ignobil piazza aprirsi.
Quivi romita una colonna sorgeIn fra l'erbe infeconde e i sassi e il lezzo,
Ov'uom mai non penetra, però ch'indiGenio propizio all'insubre cittade
Ognun rimove, alto gridando: lungi,
O buoni cittadin, lungi, che il suoloMiserabile infame non v'infetti.
Era questa veramente l'opinion del Parini? Non si sa; e l'averla espressa, così affermativamente bensì, ma in versi, non ne sarebbe un argomento; perché allora era massima ricevuta che i poeti avessero il privilegio di profittar di tutte le credenze, o vere, o false, le quali fossero atte a produrre un'impressione, o forte, o piacevole. Il privilegio! Mantenere e riscaldar gli uomini nell'errore, un privilegio! Ma a questo si rispondeva che un tal inconveniente non poteva nascere, perché i poeti, nessun credeva che dicessero davvero. Non c'è da replicare: solo può parere strano che i poeti fossero contenti del permesso e del motivo.
Venne finalmente Pietro Verri, il primo, dopo cento quarantasett'anni, che vide e disse chi erano stati i veri carnefici, il primo che richiese per degl'innocenti così barbaramente trucidati, e così stolidamente abborriti, una compassione, tanto più dovuta, quanto più tarda. Ma che? le sue "Osservazioni", scritte nel 1777, non furon pubblicate che nel 1804, con altre sue opere, edite e inedite, nella raccolta degli "Scrittori classici italiani d'economia politica". E l'editore rende ragione di questo ritardo, nelle "Notizie" premesse all'opere suddette.
| |
Parini Pietro Verri
|