Ogni epoca letteraria ha un carattere generale suo proprio, una maniera, per dir così, che si fa scorgere a prima vista negli scritti dozzinali, e dalla quale i più distinti e originali non vanno mai esenti del tutto. In Italia poi, spesso e forse ad ogni epoca, oltre la maniera generale v'ebbe in ciascuno Stato e principalmente in ciascuna città capitale una maniera particolare per dir così una sotto-maniera che era una modificazione di quella: ne riteneva alcuni caratteri e ne aveva altri suoi proprii. Erano come tante varietà d'una specie. Di tutte queste differenze si ponno trovare ad ogni caso molte cagioni nelle varie circostanze dei diversi stati: una cagione comune è l'essere in ciascuno di essi adoperato nei discorsi un dialetto particolare anche tra le persone colte. Ogni lingua, ogni dialetto oltre i segni d'idee per così dire semplici e che hanno segni sinonimi in ogni altra lingua, ha segni particolari, e ancor più frasi che esprimono o accennano un giudizio o pongono la questione in un modo particolare. La moltitudine di questi vocaboli e di queste frasi particolari dà ad ogni dialetto un carattere, un colore suo proprio, e v'introduce una specie di criterio individuale.
Quando l'uomo che parla abitualmente un dialetto si pone a scrivere in una lingua, il dialetto di cui egli s'è servito nelle occasioni più attive della vita, per l'espressione più immediata e spontanea dei suoi sentimenti, gli si affaccia da tutte le parti, s'attacca alle sue idee, se ne impadronisce, anzi talvolta gli somministra le idee in una formola; gli cola dalla penna e se egli non ha fatto uno studio particolare della lingua, farà il fondo del suo scritto.
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