«Signor curato»: disse uno di quei due, piantandogli gli occhi in faccia.
«Chi mi comanda?» rispose subito il curato alzando gli occhi dal libro e tenendolo spalancato e sospeso con ambe le mani.
«Ella ha intenzione», proseguì l'altro, «di sposare domani Fermo Spolino, e Lucia Zarella».
«Non lo posso negare»: rispose il curato col tuono d'un uomo convinto d'una trista azione; e soggiunse tosto: «io non c'entro: fanno gli aggiustamenti fra di loro, vengono da noi, noi siamo i servitori del pubblico...»
«Bene bene», interruppe il bravo, «questo matrimonio non si deve fare, ma né domani né mai». «Ma, Signori miei», replicò il curato colla voce d'un uomo che vuol persuadere un impaziente, «ma signori miei, si degnino di mettersi nei miei panni: se la cosa dipendesse da me...»
«Orsù» interruppe ancora il bravo che pareva avesse giurato di non lasciargli compire un periodo, «se la cosa andasse a ciarle, ella ne avrebbe più di noi: ma noi non sappiamo né vogliamo sapere altro: era nostro dovere d'avvisarla e l'abbiamo fatto». «Ma loro signori son troppo giusti, e ragionevoli...»
«Ma», interruppe questa volta quell'altro che non aveva parlato fino allora, «ma il matrimonio non si farà e» (qui una buona bestemmia) «chi lo farà non se ne pentirà perché non ne avrà tempo e...»
«Zitto, zitto», ripigliò quell'altro, «il signor Curato sa che noi siamo galantuomini, e non vogliamo fargli del male, se egli opererà da galantuomo. Signor Curato, ci ha intesi, l'illustrissimo Signor Don Rodrigo nostro padrone le fa i suoi complimenti». «Se mi sapessero suggerire;...» disse il curato: «Oh! suggerire a lei che sa il latino!
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