E sigillava sempre il discorso col suo assioma favorito, proferendo il quale rifletteva con compiacenza sopra di sè: e l'assioma era: che ad un galantuomo che vuol viver quieto, che sa stare nel fatto suo, non accadono mai brutti incontri.
S'immagini ora il lettore che colpo doveva essere stato questo per Don Abbondio. L'impressione di spavento per quei visi e per quelle minacce, l'idea d'un pericolo associata a ogni momento dell'avvenire, il frutto di tanti anni di studio e di politica perduto in un giorno, l'unica teoria sulla quale era fondata tutta la sua speranza di quieto vivere, rovinata, e un passo stretto, pericoloso da attraversare, un passo del quale non si vedeva una uscita. Poiché se si avesse potuto mandare in pace Fermo con un bel no, l'affare sarebbe stato finito, essendo la coscienza di Don Abbondio bastantemente soddisfatta della idea che a lui era stata fatta violenza. Ma Fermo vorrà delle ragioni, e non istarà quieto, e la ragione buona non si poteva dire a tutto il mondo, troverà strano questo ritardo, e molto più una ripulsa, mormorerà, e che cosa rispondere? E se Fermo ricorre? Angustiato da questi pensieri il nostro Curato per sollevarsi un poco si scatenava in suo cuore contro chi era venuto a togliergli per sempre la sua pace. Egli non conosceva Don Rodrigo che di nome, e di vista, e non aveva avuta altra relazione con lui che di fargli una grande scappellata quando lo incontrava e di riceverne un mezzo saluto di protezione. Gli era occorso talvolta di difenderlo, quando si parlasse di qualche soperchieria da lui fatta, e aveva detto forse cento volte che Don Rodrigo era un degno cavaliere.
| |
Don Abbondio Fermo Don Abbondio Fermo Fermo Curato Don Rodrigo Don Rodrigo
|