Per timore di annojare il lettore non trascriverò tutto il dialogo, dirò soltanto che Vittoria fedele ai suoi giuramenti non disse nulla positivamente, ma trovò un modo per combinare il rigore dei suoi doveri colla voglia di parlare. Invece di raccontare a Fermo ciò ch'ella sapeva, gli fece tante interrogazioni, e che toccavano talmente il fatto noto a Vittoria, che avrebbero messo sulla via anche un uomo meno svegliato di Fermo, e meno interessato a scoprire la verità. Gli chiese se non s'era accorto, che qualche signore, qualche prepotente, avesse gettati gli occhi sopra Lucia, etc.,parlò dei rischj che un curato corre a fare il suo dovere, del timore che uno scellerato impunito può incutere ad un galantuomo, fece insomma intender tanto che a Fermo non mancava più che di sapere un nome. Finalmente per timore come si dice, di cantare, si separò da Fermo raccomandandogli caldamente di non ridir nulla di ciò che le aveva detto.
«Che volete ch'io taccia», disse Fermo, «se non mi avete voluto dir nulla».
«Eh! non è vero che non vi ho detto nulla? Me ne potrete esser testimonio, ma vi raccomando il segreto». Così dicendo si mise a correre per un viottolo che conduceva al luogo ov'ella era avviata. Fermo che aveva acquistata tutta la certezza che una trama iniqua era ordita contro di lui, e che il Curato la sapeva, non potè più tenersi, e tornò in fretta alla casa di quello, risoluto di non uscire prima di sapere i fatti suoi che gli altri sapevano così bene. Entrò dal curato, lo sorprese nello stesso salotto, e gli si avvicinò con aria risoluta: «Eh! eh! che novità è questa», disse Don Abbondio.
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