«Chi è quel birbante», disse Fermo colla voce d'un uomo che non vuole esser più burlato, «chi è quel birbante che non vuole ch'io sposi Lucia?»
Don Abbondio diede un salto dal suo seggiolone per correre alla porta, Fermo vi balzò prima di lui, come doveva accadere, la chiuse e si pose la chiave in tasca.
«Ah! ah! Signor Curato, adesso, parlerà ella?»
«Fermo, Fermino, per amor di Dio, aprite, guardate quel che fate, pensate all'anima vostra».
«Che pensare? Mi si è coperta la vista», rispose Fermo; un Toscano avrebbe detto: non vedo più lume. E continuò: «lo voglio sapere subito, subito», e così dicendo pose forse inavvertitamente la mano al coltello che però non si cavò di tasca. «Jesummaria!» sclamò Don Abbondio.
«Lo voglio sapere», gridò ancor più forte il giovane.
«Volete voi la mia morte?»
«Voglio sapere ciò che ho ragione di sapere».
«Ma se parlo, io son morto. Non m'ha da premere la mia vita?»
«Ah! le preme dunque la sua vita? Bene la sua vita è in mano mia in questo momento. Parli».
«Oh povero me! mi promettete, mi giurate di non dir niente?»
«Le prometto di fare uno sproposito se non parla subito».
Di botta in risposta il volto di Fermo diveniva più infocato, il labbro più tremante, e l'occhio più stralunato. Don Abbondio vide che non poteva cavarsela che col proferire una parola, e articolò: «Don...» «Don», replicò Fermo come per ajutare Don Abbondio a pronunziare il resto: «Don Rodrigo» disse finalmente il Curato. E non l'ebbe appena proferita, che sentendo cessato il pericolo imminente, e vedendo che Fermo non aveva più pretesto da minacciarlo, la paura si cangiò in collera e cominciò a rimproverarlo.
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