Si è fatta questa riflessione per ispiegare come il buon Padre Cristoforo, il quale veniva per domandare a Don Rodrigo l'adempimento della più stretta giustizia, e la cessazione della più vile iniquità, si rimase come confuso, e vergognoso quando si trovò così solo con tutte le sue buone ragioni in mezzo ad un crocchio romoroso e indisciplinato di amici di Don Rodrigo, e in sua presenza. Era questi in capo alla tavola: alla sua destra sedeva il giovane Conte Orazio cugino di Don Rodrigo, suo compagno di libertinaggio e di soperchieria, e che villeggiava con lui: alla sinistra il Podestà, che Don Rodrigo aveva invitato non senza perché, potendo trovarsi in un impegno dal quale si sarebbe cavato meglio quando la Giustizia fosse tutta disposta in favor suo. Il Podestà mostrava di ricevere l'onore di sedere famigliarmente a tavola d'un cavaliere con un rispetto misto però d'una certa libertà che gli dava il suo uficio; accanto a lui, e con un rispetto il più puro e il più sviscerato sedeva il nostro Dottor Duplica, il quale avrebbe voluto essere il protetto di tutti quelli che eran da più di lui, e il protettore di tutti quelli che gli erano inferiori: due o tre altri convitati di ancor minore importanza attendevano a mangiare e a sorridere con una adulazione ancor più passiva di quella del dottore: e quando questi approvava con un argomento o con una lode che voleva esser ragionata, essi non sapevano dire più in là di: «certamente».
«Da sedere al padre», disse Don Rodrigo; e un cameriere avvicinò una scranna sulla quale si pose il Padre Cristoforo facendo qualche scusa al signore di esser venuto in ora inopportuna, a parlargli d'un affare d'importanza.
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