«Parleremo, quanto Ella vorrà, ma intanto portate da bere al Padre». Il Padre voleva schermirsi, ma Don Rodrigo in mezzo al trambusto dei litiganti gridava: «No per... non mi farà questo torto, padre: non sarà mai detto che un cappuccino si parta da questa casa senza aver gustato del mio vino, né un creditore insolente senza avere assaggiato della legna dei miei boschi». Queste parole produssero un riso universale e interuppero un momento la quistione che si agitava caldamente fra i commensali. Un servo portando sur un bacile un'ampolla, come allora usava, di vino, e un lungo bicchiero a foggia di calice, lo presentò al Padre, che non volendo resistere ad un invito tanto pressante dell'uomo che voleva farsi propizio, non esitò a mescere, e si pose a sorbire lentamente il vino.
«Le torno a dire, Signor Podestà riverito, che l'autorità del Tasso non serve al suo assunto, che anzi è contro di lei», riprese ad urlare il Conte Orazio: «perché quel grand'uomo che conosceva tutte le regole e tutti i puntigli della cavalleria più soprafina ha fatto che il messo di Argante prima di esporre la sfida ai cavalieri cristiani, domandi licenza a Goffredo...»
«Ma questo», replicava non meno urlando il Podestà, «questo è un sopra più, un mero sopra più: giacché il messo è di sua natura inviolabile per diritto delle genti, jus gentium, e secondo quel proverbio, - ella m'insegna che i proverbi sono voce di Dio secondo quell'altro proverbio che dice: vox populi vox Dei - quel proverbio: ambasciator non porta pena; dico che non avendo il messaggero detto nulla in persona propria, ma solamente presentata la sfida in iscritto, secondo tutte le regole, non doveva mai.
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