..»
«Con buona licenza di questi signori», interruppe Don Rodrigo il quale questa volta contra il suo solito aveva voglia di troncare la quistione: «rimettiamola nel Padre Cristoforo, e si stia alla sua sentenza».
«Bene, benissimo», disse il Conte Orazio al quale parve cosa molto graziosa il far decidere una questione di cavalleria da un cappuccino; mentre il Podestà, a cui pareva un po' ostico l'esser sottoposto ad un giudizio mostrava leggermente il suo malcontento con un suono inarticolato accompagnato da una quasi invisibile mossa di spalle. «Ma, da quel che mi pare d'avere inteso», disse il Padre, «non sono cose di cui io mi debba intendere».
«Solite scuse di modestia di loro Padri», disse Don Rodrigo; «ma non mi scapperà: Eh via! sappiamo bene ch'ella non è venuta al mondo colla barba, e col cappuccio, e il mondo lo ha conosciuto. Via via. Ecco il fatto».
«Il fatto è stato...» gridò il Conte Orazio.
«Lasciate pur dire a me che sono neutrale, cugino», riprese Don Rodrigo. «Il fatto accaduto in Milano è: che un Cavaliere spagnuolo mandò la sfida ad un cavalier milanese: e il portatore non trovando il provocato in casa, consegnò la lettera ad un fratello del cavaliere; il quale, letta che l'ebbe diede alcune bastonate al portatore...»
«Ben date, bene applicate» gridò il Conte Orazio; «fu una vera ispirazione...»
«Del demonio», interruppe il podestà «battere un ambasciatore! persona sacra! anch'Ella padre, mi dirà se questa è azione da cavaliero...»
«In verità signor Podestà ch'io non avrei mai potuto credere che un par suo desse tanta importanza alle spalle di un mascalzone».
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