«Cospetto!», disse Fermo: «mi par bene di avere inteso altre volte questa parola, ma non so che cosa voglia dire. Ma come fare il matrimonio se il curato non vuole? Senza il curato non si può fare».
«Bisogna che il curato ci sia, e questo è facile, ma non fa bisogno ch'egli voglia, che è il punto».
«Spiegatevi meglio».
«Ecco come si fa. Bisogna aver due testimoni, destri e ben informati. Si va dal parroco. Lo sposo dice: - Signor curato, questa è mia moglie: - la sposa dice: Signor curato, questo è mio marito: - il parroco sente, i testimonj sentono, e il matrimonio è fatto, e sacrosanto come se lo avesse fatto il papa. Ma bisogna che il curato senta, che non v'interrompa, perché se ha tempo di fuggire prima che tutto sia detto, non si è fatto niente. Bisogna dire in fretta, ma chiaro, sentite: come faccio io: - questa è mia moglie: questo è mio marito: - (e faceva mostra di una volubilità di lingua che in verità possedeva in un modo singolare). Quando le parole son proferite, il curato può strillare, strepitare fare quello che vuole, siete marito e moglie».
«Possibile!» sclamò Lucia.
«Oh vedete», disse Agnese «che nei trent'anni che sono stata al mondo prima di voi altri, non avrò imparato niente. La cosa è certa e una mia amica che voleva pigliar marito contra la volontà dei suoi parenti, ha fatto così. Poveretta! che arte ha usata per riuscirvi, perché il curato stava sull'avviso, ma ha saputo cogliere il momento, ha pigliato colui che voleva, e se ne è pentita tre giorni dopo».
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Fermo Lucia Agnese
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