«Se fosse vero, Lucia!...» disse Fermo, riguardandola con aria di una aspettazione supplichevole.
«Come! se fosse vero», ripigliò Agnese: «Io mi cruccio per voi, e non son creduta. Bene bene; cavatevi d'impiccio come potete: io me ne lavo le mani».
«Ah no! non ci abbandonate», disse Fermo.
«No no»: riprese Agnese: «me ne lavo le mani: sentite, io son donna che sopporto ogni cosa per quelli a cui voglio bene, ma non voler credere alle mie parole, e non voler fare quello che dico io; questo non lo posso sopportare».
Chi avesse tentato direttamente con preghiere di smuovere Agnese irritata, avrebbe facilmente avuto da fare per molto tempo: ma Lucia ottenne l'effetto in un momento, senza porvi astuzia, facendo una obbiezione:
«Ma, perché dunque», diss'ella, «questa cosa non è venuta in mente al Padre Cristoforo?» Questa interrogazione impegnò la buona Agnese a rispondere, e a giustificare il suo assunto.
«Bisogna saper tutto», diss'ella. «Al Padre Cristoforo che ne sa molto più di me, la cosa sarà venuta in mente prima che a me: ma io so bene perché non ne avrà voluto parlare».
«Perché?» domandarono i due giovani.
«Perché?... perché... i religiosi dicono che è una cosa che non istà bene».
«Come possono dire che non istia bene, quando dicono che non si può disfare», disse Fermo.
«Se non istà bene», disse Lucia, «non bisogna farla».
Per rispondere a Fermo era necessario un ragionamento troppo sottile per Agnese: si volse ella adunque a Lucia, e disse: «Non bisogna dirla prima di farla, perché allora sconsigliano: ma quando sarà fatta, che cosa vuoi che ti dica il Padre Cristoforo?
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