«Se ti parlo del debito», rispose Fermo «è per darti il mezzo di soddisfarlo. Eh! non ti farebbe piacere? saresti contento?»
«Contento? per diana se sarei contento. Non pel curato vedi: ma per togliermi la seccatura: se la faccenda continua così non potrò più andare alla Chiesa: non mi vede una volta che non me ne gitti un motto, o almeno almeno non mi faccia un cenno con quella sua brutta cera. E poi e poi, egli si tiene in pegno la collana d'oro di mia moglie; e prevedo che quest'inverno se l'avessi, la cangerei in tanta polenta; non in vino», e qui fece un sospiro, «in polenta. Ma...»
«Ma, ma; se tu mi vuoi rendere un servizio, io ti darò le venticinque lire».
«Il servizio è fatto» rispose Tonio; «non fa nemmeno bisogno che tu mi dica che cosa è».
Fermo, gli fece promettere sul bicchiere il segreto, e continuò:
«Tu sai che io sono promesso a Lucia Zarella. Il curato mi va cercando cento scuse magre per tirare in lungo: io vorrei spicciarmi. Mi hanno mò detto che presentandomi al curato con due testimonj, e dicendo io: questa è mia moglie, e Lucia: questo è mio marito, il matrimonio è bell'e fatto. M'hai tu inteso?»
«Tu vuoi ch'io venga per testimonio?»
«Appunto».
«Il matrimonio è fatto, è fatto», rispose Tonio baldanzosamente, versandosi un altro bicchiere di vino. «Così vi fossero molti tribolati come te, e in caso di spendere venticinque lire».
«Ma bisogna che tu mi trovi un altro testimonio».
«Bisogna che lo trovi io ah? io perché son più destro di te. Bene è trovato. Quel martoraccio di mio fratello Gervaso, farà quello che gli dirò io: basta che tu mi dia tanto ch'io gli possa pagar da bere; perché, a questo mondo, niente per niente: è un proverbio che lo sa anche Gervaso, lo sanno anche quelli che non sanno dire il Credo».
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