«La pace sia con voi», diss'egli, entrando, tutto ansante, ma con voce ferma. «Non v'è nulla a sperare dall'uomo: tanto più bisogna confidare in Dio». Benché nessuno dei tre sperasse molto nel tentativo del Padre Cristoforo, giacché il vedere un potente recedere da una soperchieria per preghiera e senza esser sopraffatto da una forza superiore era cosa più inaudita che rara, nullameno la trista certezza fu un colpo per tutti.
Ma Fermo ne prese più sdegno che accoramento. Le ripulse replicate di Lucia, i suoi disegni così ben meditati, e le sue speranze al vento, il non saper più come uscire per altra via d'impaccio, un lungo diverbio, avevano cresciuta e riscaldata la stizza che egli covava già da due giorni: l'amore, però, e il rispetto che Lucia gli ispirava anche rifiutando ciò ch'egli bramava sopra ogni cosa, avevan temperata questa stizza, e impedito ch'ella non iscoppiasse in escandescenza. Ma quando a quella passione compressa si presentò un oggetto odioso per ogni parte, quello che ne era l'oggetto principale, la passione non ebbe più freno.
«Vorrei sapere», gridò Fermo colla bava alla bocca e come non aveva mai gridato in presenza del Padre Cristoforo, «vorrei sapere che ragione ha detto quel cane, per sostenere che Lucia non ha da esser mia moglie».
«Povero Fermo!» rispose il Padre, con un accento di pietà e d'amorevolezza. «Sai tu che se alcuno potesse costringere quei signori a dire le loro ragioni, le cose non andrebbero a questo modo».
«Dunque ha detto il cane che egli non vuole, perché non vuole?
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