Un uomo più sperimentato di Fermo, guardandolo attentamente l'avrebbe detto un servo travestito. Questi non si mosse, e mirò fisamente Fermo, il quale si torse entrando per fianco nella picciola apertura lasciata da quella cariatide. I suoi compagni l'imitarono se vollero entrare.
Ad un deschetto stavano seduti due facce di scherani, giuocando alla mora, gridando quindi tutti e due ad un fiato come si farebbe in una controversia fra due dotti: fra i due giuocatori stava un gran fiasco di vino dal quale andavano essi versando a vicenda. Questi pure adocchiarono Fermo con una curiosità molto significante. Finalmente ad un altro desco erano tre vestiti da contadini, ma con un contegno che indicava abitudini più guerresche che casalinghe. E questi pure gli occhi addosso a Fermo: quindi occhiate da un crocchio all'altro, dai crocchj alla porta. Fermo insospettito, e incerto guardava ai suoi due compagni come se volesse cercare nei loro aspetti una interpretazione di questo mistero: ma quelli non indicavano altro che un buon appetito. L'ostiere stava aspettando gli ordini dei sopravvenuti, Fermo lo fece venire con sè in una stanza vicina; e comandò da cena.
«Chi sono quei forastieri?» chiese Fermo a voce bassa all'ostiere che stava stendendo sul desco una tovaglia grossolana.
«Chi sono? Che m'importa chi essi sieno?» rispose l'ostiere. «Non sapete che la prima regola del nostro mestiere è di non impacciarsi dei fatti altrui? Tanto è vero che fino le nostre donne non son curiose. Quel che ci preme si è che quelli che frequentano la nostra casa sieno galantuomini; come sono certamente questi di cui mi chiedete».
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Fermo Fermo Fermo Fermo Fermo Fermo
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