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      Il segno fu inteso, e Fermo traendo Lucia la quale correva come un leprotto inseguito, in punta di pič vennero fino alla porta, l'aprirono delicatamente e si trovarono nel vestibolo coi due fratelli che gli stavano aspettando. Chiusero sommessamente il chiavistello per di dentro e salirono insieme, mentre Agnese moltiplicava le inchieste per trattenere la fante. I quattro congiurati tutti diversamente commossi ascesero le scale, e posati che furono sul pianerottolo: Toni disse ad alta voce: «Deo gratias», ed entrņ col fratello, mentre Don Abbondio che gli aspettava rispose: «Avanti». Fermo e Lucia ristettero dietro la porta: senza moversi, senza alitare: l'orecchio il pił fino non avrebbe potuto ivi intender altro che il battito del cuore di Lucia. Toni entrato socchiuse la porta dietro di sč. Don Abbondio convalescente della febbre, e non guarito della paura stava seduto su un vecchio seggiolone, ravvolto in una vecchia zimarra, coperto il capo d'un vecchio camauro, sotto il quale si vedeva uno sguardo sospettoso e teso, un lungo naso, e fra due guance pendenti una bocca quale ognuno l'ha dopo d'aver sorbita una ostica medicina. Aveva dinanzi a sč una vecchia tavola e sulla tavola una picciola lucerna che mandava una luce scarsa sulla tavola e sui dintorni, e lasciava il resto nelle tenebre. Presso alla lucerna era il breviale, e aperto dinanzi a Don Abbondio il Quaresimale....
      «Ah! ah!» fu il saluto di Don Abbondio.
      «Il signor Curato dirą che siamo venuti tardi», disse Toni inchinandosi, come pure fece pił goffamente Gervaso.


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Fermo e Lucia
di Alessandro Manzoni
pagine 802

   





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