Così va il mondo; o... voglio dire, così andava nel secolo decimo settimo.
Don Abbondio, vedendo che il nimico non voleva sgomberare, si fece ad una finestra che dava sul sagrato, a gridare accorr'uomo. Batteva la più bella luna del mondo, e l'ombra della chiesa e del campanile si disegnava sulle erbe lucenti del sagrato: per quell'ombra veniva tranquillamente con un gran mazzo di chiavi pendente alla mano il sagrista, il quale dopo suonata l'avemaria era rimasto a scopare la chiesa e a governare gli arredi dell'altare. «Lorenzo!» gridò il curato, «accorrete, gente in casa! ajuto». Lorenzo si sbigottì, ma con quella rapidità d'ingegno che danno i casi urgenti, pensò tosto al modo di dare al curato più soccorso ch'egli non chiedeva, e di farlo senza suo rischio. Corse indietro alla porta della chiesa, scelse nel mazzo la grossissima chiave, aperse, entrò, andò difilato al campanile, prese la corda della più grossa campana, e tirò a martello.
CAPITOLO VIII
LA FUGA
- Ton, ton, ton, ton, - i contadini appena corcati balzano a sedere sul letto: - che è? che è? La campana: fuoco? banditi? - Le donne pregano e consigliano i mariti di non si muovere, di lasciar correre gli altri: gli uomini si alzano dicendo: - vado soltanto alla finestra -: i garzoni caccian la testa dal fenile: i più curiosi e bravi sono già nella via colle forche e coi fucili: altri gl'imitano, e i poltroni come se si lasciassero vincere dalle preghiere ritornano al covile.
Frattanto Perpetua che nelle ciarle s'era dimenticata di se stessa, ma che noi non abbiamo dimenticata, aveva inteso come un romore, un gridio, e aveva interrotto il discorso per avviarsi verso casa, cercando invano di rattenerla Agnese, la quale pure stava sulla corda non vedendo tornare nessuno; e all'udire quel gridìo fu pure presa da una grande inquietudine.
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Abbondio Perpetua Agnese
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