Ma quando la campana a martello si fece udire, corsero entrambe verso la porta. Toni aveva finalmente ricolta la quitanza, e pigliando a tentone Gervaso nelle tenebre, aveva pigliata la porta e scendeva saltelloni dalla scala: Lucia pregava fievolmente Fermo di cavarla da quella caverna; e quando egli udì quel tocco funesto gli parve pure mill'anni d'esserne fuori, e trovò la porta come gli altri. Perpetua correndo affannata con Agnese, si abbattè in Toni e il fratello che uscivano, e gli assalì d'inchieste alle quali essi non dierono risposta, ed usciti nella via, s'avviarono a casa.
Per buona sorte Fermo e Lucia usciti nella via, presero la strada opposta a quella donde veniva Perpetua, ed ella entrò a furia in casa senza vederli, e vi si chiuse. Agnese che guardando fiso gli aveva visti uscire, gli raggiunse, e tutti e tre voltarono in fretta, in silenzio, palpitando, il canto, e s'avviarono pure verso casa. Intanto la gente traeva da tutte le parti alla chiesa: già i più lesti erano entrati nel campanile e avevano inteso da Lorenzo che la gente era in casa del curato. Ma guardando al di fuori videro le porte chiuse, e tutto quieto: taluni però osservando più per minuto s'accorsero che una finestra era appena socchiusa e intravvidero per lo spiraglio la faccia lunga di Don Abbondio, il quale avendo sentita sgombrata la stanza vicina, e conoscendo cessato il pericolo, cominciava ad essere inquieto e malcontento del troppo soccorso. «Che cosa è stato?» domandò uno degli accorsi: «Sono fuggiti», rispose il curato, «tornate a casa, vi ringrazio». «Fuggiti, chi?
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