Il Marchese fece cuore a Geltrude, e la presentò con volto lieto alla madre e al fratello. «Ecco», disse, «la pecora smarrita, e sia questa l'ultima parola che richiami tristi memorie. Ecco» aggiunse «la consolazione della famiglia: Geltrude ha scelto ella medesima, spontaneamente quello che noi desideravamo per suo bene; e non ha più bisogno di consigli.
È risoluta, ed ha promesso...» qui Geltrude alzò gli occhi tra lo spavento e la preghiera al Padre, come per supplicarlo di sostare un momento, ma egli ripetè francamente: «ha promesso di prendere il velo». Le lodi e gli abbracciamenti furono senza fine, e Geltrude riceveva le une e gli altri con lagrime che furono credute di consolazione. Il Marchese Matteo si diffuse allora a magnificare le disposizioni che aveva già fatte di lunga mano per rendere lieta e splendida la sorte della sua figlia. Parlò delle distinzioni ch'essa avrebbe avute nel monastero, e del desiderio che le madri avevano di possederla, e di osservarla come la prima, la principessa donna del monastero, dal momento in cui vi avrebbe riposto il piede. La madre e il fratello applaudivano: Geltrude era come posseduta da un sogno.
«Oh!» s'interruppe il Marchese; «noi stiamo qui facendo chiacchere, e si dimentica il principale: bisogna fare una domanda in forma al Vicario delle monache, altrimenti non si conclude nulla». Detto questo fece chiamare tosto il Segretario. Questi giunse ritto ritto, intirizzato quanto poteva comportare la fretta di obbedire al Signor Marchese; il quale tosto gli diede ordine di stendere la supplica.
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