Don Rodrigo s'inchinò profondamente con quell'aria equivoca che può egualmente parere bassezza o affettazione, e il Conte che in mezzo a tanti affari non aveva potuto conservare le abitudini cerimoniose di quel tempo, gli corrispose con una leggiera e rapida inclinazione del capo; e gli fece cenno di sedersi sur una seggiola la quale era posta in luogo che dall'altra stanza si potesse scorgere ogni moto di colui che vi era seduto. Dopo molte cerimonie, alle quali il Conte badò poco, Don Rodrigo sedette; e il Conte pure a qualche distanza.
Era il Conte del Sagrato un uomo di cinquant'anni, alto, gagliardo, calvo, con una faccia adusta e rugosa. Si sforzava fino ad un certo segno d'esser garbato, ma da quegli sforzi stessi traspariva una rusticità feroce e indisciplinata.
«Dovrei scusarmi», cominciò Don Rodrigo, «di venir così a dare infado a Vossignoria Illustrissima».
«Lasci queste cerimoniacce spagnuole, e mi dica in che posso servirla».
«Non so se il Signor Conte si ricordi della mia persona, ma io ho presente di essere stato qualche volta fortunato...»
«Mi ricordo benissimo, e la prego di venire al fatto».
«A dir vero», riprese Don Rodrigo «io mi trovo impegnato in un affare d'onore, in un puntiglio, e sapendo quanto valga un parere di un uomo tanto esperimentato quanto illustre, come è il Signor Conte, mi sono fatto animo a venir a chiederle consiglio, e per dir tutto anche a domandare il suo amparo».
«Al diavolo anche l'amparo», rispose con impazienza il Conte.
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