«Ho promesso di consegnarla ad un amico al quale non voglio né posso rifiutar nulla; e voi dovete darmi ajuto a liberarmi dalla mia parola».
A questa proposta, Geltrude incrocicchiò le mani con forza, le presse al petto, si strinse tutta, levò al cielo uno sguardo nel quale brillava momentaneamente un raggio dell'antica innocenza, e con voce supplichevole e commossa disse: «Ah no: non ne facciamo più, non ne facciamo più per pietà. Chi sa che quel che abbiamo fatto non possa ancora essere perdonato? V'era, una scusa, ma qui non ve n'è. Perché fare ancora delle cose, che si vorranno dimenticare e non si potrà? Non ne abbiamo abbastanza?»
«Ah! ah!» rispose Egidio, «così siete disposta a compiacermi? Adesso vi nascono gli scrupoli eh! Più conto fate d'una villana, che conoscete appena da otto o dieci giorni che di me. Questa è quella che voi amate».
«Io amarla!» rispose Geltrude, «io colei! non la posso soffrire, è una superba, non fa che parlare della sua innocenza, e quando ne parla mi guarda con certi occhi come se sapesse qualche cosa, e fingendo rispetto volesse insultarmi. L'ho accolta, sapete, perché bisogna nel nostro stato farsi più amici che si può: no ch'io non l'amo: ma lasciatemela per carità, questa lasciatemela, mi diventerà cara, e quando un altro pensiero verrà a tormentarmi, riposerò i miei occhi sopra di lei, e dirò fra di me: - ecco, anche questa l'avrei dovuta sagrificare; ed è qui».
«Pazzie, pazzie», disse Egidio: «parlate come una bambina sciocca. Lasciate che sul principio si lamenti e un giorno poi riderà dei suoi terrori, e sarà contenta».
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Geltrude Egidio Geltrude Egidio
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