«No, non sarà contenta», rispose Geltrude con la rapida risoluzione di chi ha il vivo sentimento che le parole che ha udite sono menzogne.
«Va bene, va bene», disse Egidio con uno sdegno in parte vero, in parte diabolicamente affettato: «non ne facciamo più: e già vedo che non possiamo andar d'accordo: è tempo perduto con voi: siamo troppo differenti nel pensare: ma a tutto si può rimediare; i mattoni son lì tutti come contati; e ad ogni volta mi dò la briga di riporli al loro posto antico: basta che io porti un po' di calce, il muro sta come prima, tutto è finito».
«No, no, no...» riprese affannosamente Geltrude: «...dite, che volete ch'io faccia?»
«È vero», continuò l'uomo abbominevole, come se persistesse nel suo proposito, «è vero che vi sono anche quelle altre...»
«Zitto, zitto per pietà» disse Geltrude, «che non sentano: volete farmi diventare il ludibrio di quelle...»
«Quelle, quelle» riprese Egidio «saranno certamente più pronte a rendermi un servizio».
«Dite, dite, che volete ch'io faccia?»
«Chiamatele», rispose imperiosamente Egidio, «e troveremo insieme il mezzo di condurre a capo questa grande impresa».
«Dite...»
«Chiamatele, dico», riprese Egidio, e Geltrude strascinata ancora una volta un passo più innanzi nella via della perversità, avvezza ad ubbidire, ubbidì e andò a chiamare le sue complici. Egidio sapeva quello che aveva detto; e quelle due sciagurate erano in fatti più tranquillamente e più risolutamente perverse di Geltrude. Geltrude dei loro discorsi, del loro contegno sentiva talvolta orrore, disprezzo, ne riceveva una specie di scandalo; ma questi sentimenti ricadevano terribilmente su la sua coscienza, perché ad ogni volta Geltrude era costretta a ricordarsi che dessa era quella, che aveva fatti far loro i primi passi nel cammino dove ora la precorrevano.
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