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      La giurisdizione criminale su le persone addette allo stato religioso era allora esercitata dai vescovi. Il cardinale fece torre la Signora da quel monastero, e trasportarla in un convento di convertite nella città. Ivi l'infelice infuriò per qualche tempo: tentò di fuggire, tentò di uccidersi, ricusò il cibo, diede del capo nelle muraglie; urlava tutto il giorno, bestemmiava più di tutto il cardinale: contra il quale tale era l'odio di lei, ch'ella ebbe a dir poscia che tutte le inimicizie che gli uomini chiamano mortali, erano un giuoco appo di quella ch'ella sentiva per lui.
      Intanto lo scellerato vicino ripose il piede nel monastero, e parte colla persuasione, parte colle minacce astrinse le altre due sue vittime a seguirlo, e di notte con esse fuggì. Ma, o fosse disegno premeditato di quell'animo atroce, o ebbrezza di scelleraggine, poco distante dal paese, in riva al Lambro, una dopo l'altra le trafisse con un pugnale, gittando l'una nel Lambro, e l'altra in un pozzo rasciutto ed abbandonato nei campi. Ma le ferite non furono mortali, ed entrambe le donne furono salve per diversi eventi e rinvenute, e riposte a guarire in un altro monastero del borgo.
      La Signora all'annunzio di tali atrocità, tutta, tutto ad un tratto si mutò; rivolse in orrore di se stessa, in pentimento, in dolore ineffabile, in lagrime inesauste tutto quell'impeto di furore; e da quel momento fino al suo ultimo respiro non si stancò mai di espiare almeno ciò che non poteva più riparare. Il Cardinale ch'ella chiamò poi il suo liberatore, dovette porre un freno ai rigori ch'ella esercitava contra se stessa; la visitò da poi e la consolò sovente.


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Fermo e Lucia
di Alessandro Manzoni
pagine 802

   





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