I bravi tacevano, guardando di tratto in tratto quello ch'ella faceva, e sospirando tutti il fine di quella spedizione: e Lucia di tempo in tempo fermandosi nella sua preghiera a Dio, per voltarsi a coloro in forza dei quali ella si trovava, e ricominciava a supplicarli: ma non udiva rispondersi altro che: «non possiamo». La sua preghiera era esaudita, ma il momento non era venuto.
Erano già due ore che la carrozza correva, sempre per istrade deserte, attraversando boscaglie, e campi abbandonati alla felce ed alla scopa (una gran parte del territorio milanese era allora ridotta a quello stato dalle guerre, dalle gravezze insopportabili, dall'ignoranza, dalla specie di barbarie insomma in cui erano gli abitanti, e i legislatori). Il sole declinava verso l'orizzonte quando Lucia sentì un romore continuo sempre crescente, come di un'acqua rapidamente corrente. Era l'Adda infatti a cui la carrozza si avvicinava: il bravo che stava sulla serpe accanto al cocchiere urtò col gomito chiamando quelli di dentro; uno di essi pose la testa fuori dello sportello, e l'altro gli disse: «il battello c'è». «Ah! bravo» dissero tutti e tre quei di dentro. Lucia, vedendo che si stava per fare qualche cosa da cui doveva decidersi il suo destino, ricominciò le sue preghiere, ma il vicino lieto di essere alla fine della sua incombenza, e di non aver più a combattere con le istanze di quella infelice, le impose silenzio dicendo: «Zitto zitto; abbiamo altro in capo che di darvi retta ora: siamo occupati». La carrozza si fermò presso la riva, quel della serpe fece un segno a cui fu risposto dal battello, e tosto ne uscirono tre bravi con una vecchia, e si avviarono verso la carrozza.
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